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IL PAPA DELLA PACE NELL’EGITTO DELLA PACE

Quando i lettori avranno in mano questo giornale, papa Francesco sarà appena tornato da un viaggio in Egitto, che tutti i media e l’opinione pubblica hanno definito “storico”. Poco più di un giorno: arrivo nel primo pomeriggio del 28 aprile all’aeroporto internazionale de Il Cairo e partenza alle 17 del giorno successivo. Il primo giorno è stato dedicato agli incontri con il presidente Abdel Fattah Al-Sisi e con il grande Imam del prestigioso ateneo sunnita di al Azhar, Ahmad al-Tayyib, a Il Cairo. Quindi, a conclusione della giornata, l’incontro di Francesco con il patriarca di Alessandria copto-ortodosso Tawadros II, capo della Chiesa ortodossa copta, presiedendo una preghiera ecumenica per ricordare i martiri copti. Il 29 aprile, invece, dopo la santa messa delle ore 10, pranzo con i vescovi egiziani e incontro di preghiera con il clero, i religiosi e i seminaristi.

Papa Francesco arriva in terra d’Egitto in un momento molto particolare. L’area mediorientale è in fibrillazione da molto tempo, le forze fondamentaliste degli jihadisti del Daesh, acronimo arabo del sedicente stato islamico, combattono aspramente nella regione. E il suo pontificato, specie dopo il grande abbraccio popolare che la popolazione lombarda gli ha donato nella sua recente visita apostolica a Milano (stadio Meazza pieno e un milione di persone a Monza), inizia il quinto anno avendo sulle spalle tutte le domande di libertà eguaglianza e pace che arrivano da ogni parte del mondo.

Francesco sbarca a Il Cairo avendo nelle sue mani solo un ramoscello di ulivo che simboleggia la pace. Piccolo, forse, ma importante. È il 17° viaggio internazionale del Papa, il quarto in un Paese a maggioranza islamica, dopo Giordania, Turchia e Azerbaigian. Attualmente l’Egitto conta oltre 82 milioni di abitanti; di questi, circa 6 milioni, sono cristiani appartenenti alla Chiesa copta (numeri secondo stime ufficiali, anche se la Chiesa copta parla di quasi il doppio). Una situazione difficile quella dei copti, veri martiri della fede in terre martoriate dalla violenza e da un’intolleranza religiosa molto forte nei confronti delle minoranze. “I cristiani in Egitto sono assaliti dalla paura e dal terrore ma sono anche fortemente decisi a ribadire che il terrorismo non ha alcuna patria né alcuna religione”. A parlare è sua santità Tawadros II, patriarca della Chiesa copto-ortodossa d’Alessan-dria, in un’intervista al Sir. È passato più di un mese da quando un attentatore suicida assoldato da Daesh si fece esplodere l’11 dicembre scorso durante la celebrazione della messa domenicale all’interno della cattedrale copta di san Marco in Abassiya, al Cairo. L’attentato causò la morte di 25 persone, di cui 6 bambini. È stato l’attacco terroristico più sanguinoso contro la comunità cristiana egiziana dalla notte del capodanno 2011, quando un attentato a una chiesa di Alessandria, ferì a morte 21 persone.

I copti hanno difficoltà a costruire le loro chiese: si conta infatti che su una decina di milioni di cristiani esistano solo 2.600 chiese. In questo clima infuocato e per nulla stabile, bisogna segnalare il comportamento positivo del presidente Al Sisi, che si è mostrato ultimamente favorevole a ridurre le restrizioni vigenti per la costruzione di chiese cristiane. Lo scorso Natale ha annunciato che nel 2018 verrà inaugurata la più grande chiesa copta d’Egitto, vicino alla capitale.

Segni importanti, dunque. Ai quali si aggiungono quelli inviati da Tawadros II, che ha invitato papa Francesco a fare questo viaggio. Un abbraccio ecumenico e interreligioso che non potrà non fare bene, oltre che alla Chiesa cattolica, al mondo intero e in particolar modo alla stabilizzazione di un’intera area, quella mediorientale, che ormai è diventata una vera e propria polveriera. Tawadros II, a  sua volta, è stato già ricevuto da Francesco in Vaticano nel 2013. La solidarietà di questo papa per le minoranze e i perseguitati di ogni credo è nota. I copti poi, sono stati presi di mira dai terroristi islamici e considerati capro espiatorio per le proteste di piazza contro l’ex presidente Morsi. Ma è altrettanto importante il dialogo tra Francesco e l’imam di Al Azhar. Nelle scorse settimane ad Al Azhar si è tenuto un simposio sugli estremismi al quale ha partecipato il cardinale Jean Louis Tauran. Ebbene, si è concluso con una dichiarazione comune contro i fanatismi e le violenze in nome della religione.

Ma Francesco non si ferma qui. Il 12 e 13 maggio, infatti, per il centenario delle apparizioni della beata Vergine Maria ai tre pastorelli alla Cova da Iria, sarà a Fatima, in Portogallo. Avrà subito un incontro privato col presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, e dopo si recherà al santuario dove visiterà la cappellina delle apparizioni e si fermerà in preghiera. Quindi presiederà la recita del rosario. Il giorno successivo, sabato 13 maggio, il papa incontrerà il premier portoghese Antonio Costa nella Casa N.S. do Carmo. Poco dopo, si recherà in visita nella basilica di Nossa Senhora do rosario de Fatima; e quindi celebrerà la messa sul sagrato. Previsto un pranzo con i vescovi del Portogallo, l’ultimo appuntamento sarà nel pomeriggio con la cerimonia di congedo nella base aerea di Monte Real.

Anche qui, un viaggio che sarà un bagno di popolo. Anche se qualcuno, specie quel mondo non più tanto nascosto ostile a papa Francesco, ha già iniziato a parlare di previsioni mistiche, di “quarto segreto” di Fatima e via dicendo, ciò non tocca l’animo misericordioso di Francesco. Il suo sorriso, la sua tenacia, la sua tenerezza raggiungono tutti, soprattutto le periferie dell’esistenza.

Tutti i viaggi di papa Francesco sono un abbraccio con le diseguaglianze del pianeta, sempre accompagnati dalla preghiera. Una preghiera forte, che sale dalla terra al cielo, e che restituisce dignità e diritto di vita buona a chi, semplicemente, lo chiede.

Dio sa quanto ce ne è bisogno qui, ora, nel Mediterraneo in fiamme.

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