Era un pomeriggio di fine estate, quando l’attenzione di Nino Di Muro, parrucchiere cinquantanovenne, mentre usciva dalla stazione centrale di Milano fu rapita da alcuni senzatetto dai capelli lunghi e arruffati. “Non ci pensai su e mi accodai a loro, seguendoli fino al Rifugio Caritas. Qui cercai subito il coordinatore della struttura per propormi come parrucchiere”. Alle 18.30 nel Rifugio era stato già allestito un piccolo spazio attrezzato con sedia, sgabello, forbici, rasoio, macchinetta, pennello e spazzola. E dopo qualche minuto c’erano persino dei clienti in lista di attesa.
“Tremavo come ai primi tagli da giovane coiffeur nella mia Canosa (Bari) – confessa Nino – fare l’hair stylist di chi ha perso tutto casa-lavoro-famiglia è un servizio, un servizio ancora più sfidante di quello routinario con gli habitué dei saloni”. Chi ha vagabondato mesi, anni, chi ha provato il disprezzo degli altri, chi è isolato, ha più carattere e personalità. Sembra un paradosso, ma è quanto si tocca ogni giorno con mano, se si fa il mestiere di Nino. Proprio per questo, persone così hanno più bisogno che il barbiere abbia nei loro confronti estrema attenzione e naturalezza.
“Non è stato facile trovare l’acconciatura corta giusta per Paolo, 38enne, separato, sette mesi di vita in automobile con un ex taglio a spazzola in disfacimento. Nemmeno per Matthieu, 25 anni della Costa d’Avorio, con riccioli crespi da mesi non trattati con shampoo o ancora per il cinquantenne napoletano Gaetano. È proprio qui, nell’ex-dormitorio di fratel Ettore, dove si ricoverano i più disperati, i più soli, quelli dall’aspetto sgualcito, che uno stilista può mettere alla prova le sue competenze” prosegue Nino, che ora va al Rifugio due volte la settimana per tagliare i capelli gratis.
“All’inizio i clienti mi parlano con drammaticità delle loro difficoltà. Poi, man mano che il taglio prende forma, il racconto si alleggerisce e si carica di speranza. C’è chi comincia a fare progetti e me ne parla. Con alcuni senza fissa dimora, che sono diventati habitué, ho stabilito un rapporto di amicizia, con altri condivido la gioia di vederli tornare alla vita. Un ragazzo egiziano mi ha detto che dopo il taglio si è visto diverso, con l’aria più intellettuale, la stessa che aveva al Cairo quando studiava. Grazie al nuovo look più rassicurante, ora lavora alla cassa di un supermercato”.
Spesso lo sprint che viene da una semplice piega può trasformarsi in entusiasmo e far acquisire maggiore fiducia in se stessi, indispensabili premesse per una nuova vita. “Nello specchio di Nino mi sono visto diverso e così dopo il taglio ho ripreso a studiare informatica con il pc del rifugio e ora lavoro. Potrei dire che ho ricominciato a vivere” racconta Ernesto, clochard da tre anni.
Nei progetti del parrucchiere partito da Canosa, che cerca di rendere belli e di nuovo degni di uno sguardo e di un sorriso coloro che non hanno neppure più un posto dove dormire, c’è il desiderio di voler incrementare il suo impegno professionale volontario all’interno delle mura del rifugio “perché aiutare gli altri significa anche ricevere gioia, entusiasmo e voglia di vivere”.
Pare di vedere in Nino quella gioia che il giovane Gabriele descriveva al padre Sante dal convento di Morrovalle, in una lettera dell’ottobre del 1856: “la contentezza e la gioia che io provo entro queste sacre mura è quasi indicibile, a paragone dei vani e leggeri passatempi mondani che si gustano nel mondo. Assicuratevi pure, o papà mio, e credete ad un figlio vostro che vi parla col cuore alle labbra, che non baratterei un quarto d’ora di stare innanzi alla nostra consolatrice e speranza nostra, Maria santissima, con un anno e quanto tempo volete con gli spettacoli e divertimenti del mondo”. catiadiluigi@inwind.it