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Il seme che muove e che porta frutti

Francesco incontrerà soprattutto i giovani e con loro cercherà e troverà le parole giuste che non giustifichino odio, ma regalino amore e progettualità per una terra che ha voglia di migliorare, di crescere, di innamorarsi ancor di più del Vangelo.

La preghiera nei luoghi in cui si è incarnata la profezia del Vangelo sta diventando ormai uno dei tratti caratteristici del pontificato di papa Francesco. E così, dopo appena cinque mesi dalla sua discesa nelle cittadine pugliesi di Molfetta e Alessano, per ricordare i venticinque anni dalla morte di don Tonino Bello, ora è il turno di una visita pastorale alle diocesi di Piazza Armerina e Palermo in occasione del venticinquesimo anniversario del brutale assassinio del beato don Pino Puglisi.

È passato infatti un quarto di secolo da quando don Pino fu ucciso dalla mafia quel 15 settembre 1993. Un solo colpo alla nuca, nel giorno del suo 56 compleanno. I sicari di Cosa nostra lo attendono sotto casa, nel popoloso quartiere Brancaccio di Palermo dove don Pino svolgeva servizio pastorale come sacerdote. Il suo assassino, il pentito Salvatore Grigoli, gli si avvicina mentre apre il portone e gli dice, puntandogli la pistola alla tempia: “Padre, questa è una rapina”. Lui, guardandolo negli occhi, risponde: “Me lo aspettavo”.

Oggi, 15 settembre di un anno duemiladiciotto dove pare una scommessa puntare di nuovo sulla parola “memoria”, la scrittura sacra ci parla di profezia. Una parola forse abusata, corrosa di malinconia, ma oggi ancora una volta al centro non solo della parola sacra, ma della vita di ciascuno di noi. Francesco si reca in una terra “contaminata” dalle mafie ma che ha tante energie positive da far vedere, in particolare con le giovani generazioni. E non è un caso che il papa incontrerà in questo suo viaggio soprattutto i giovani. E con loro cercherà e troverà le parole giuste che non giustifichino odio, ma regalino amore e progettualità per una terra che ha voglia di migliorare, di crescere, di innamorarsi ancor di più del Vangelo.

Ce lo dice la storia e la vita di don Pino Puglisi. Aveva appena compiuto 56 anni, il prete dei cittadini “ribelli per amore” di uno dei quartieri a più alta infiltrazione mafiosa in terra siciliana. Un colpo di pistola pose fine alla sua vita spesa per l’educazione alla legalità con i giovani e i bambini del quartiere. E il 25 di maggio del 2013 la Chiesa lo ha proclamato beato.

Una vita di impegno pastorale per la sua terra, il suo paese. Nel 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, quartiere comandato dalla mafia dei fratelli Graviano, legati ai Bagarella. Don Pino Puglisi inizia così la sua lotta alla mafia, cercando di incuriosire alla fede i bambini che vivevano in strada con attività e giochi destinati alla formazione di una coscienza adulta e libera. Si può essere rispettati anche senza essere mafiosi, ma credendo nei propri ideali. Nelle sue omelie si rivolgeva spesso ai mafiosi, i quali lo consideravano come un ostacolo perché il suo lavoro di educazione nei confronti delle giovani generazioni era un “futuro no” all’attività di reclutamento della mafia. Decisero di ucciderlo soprattutto per questo.

La vita di don Puglisi ci dice che le nostre città, le nostre parrocchie, perfino la nostra politica può essere percorsa dal vento della profezia. La santità non è solo un percorso ascetico per spiriti mistici, ma anche e soprattutto una predisposizione a vivere intensamente l’incontro con l’altro e ad amarlo sino in fondo. Il sacrificio di don Puglisi, così come l’esempio di tanti preti sparsi nel paese che spesso lavorano nelle periferie e nel silenzio, ci dicono che il Vangelo è davvero rivolto a tutti, ricchi, poveri, dimenticati e ammalati, persi e ritrovati, emarginati e lontani. E che la giustizia è un affare non solo dello Stato ma anche della coscienza umana, via privilegiata all’incarnazione del vangelo della santità.

Don Puglisi prete ed educatore, la liturgia del quotidiano, le azioni concrete che ha fondato, il Comitato inter condominiale, le Sorelle dei Poveri e il Centro Padre Nostro hanno preoccupato e infastidito il sistema politico-mafioso perché sono la dimostrazione vivente che una rivoluzione culturale ed educativa, se parte dal basso, può sconvolgere i cuori e liberare la cittadinanza, restituendole la dignità perduta.

Oggi, come ieri e come sempre, abbiamo bisogno di profeti veri, di santi veri perché uomini dentro la vita del mondo. Soprattutto se “questo uomo” è un sacerdote. E ogni buon profeta, anche nell’atto culminante del sacrificio personale, ci restituisce la dolcezza di un Dio che ci guarda e sorride.

Sì, si può cambiare. Anche quando la vita è a caro prezzo. Con un piccolo miracolo che pare riesca solo agli uomini scelti da Dio: il seme che muore e che porta frutti. Una raccolta copiosa e fertile, come sono fertili le tante parole di profezia sparse lungo la vita di tutti i giorni e che ci pare, ogni tanto, di incontrare nei volti dei tanti don Pino i quali cercano con coraggio quell’“uscita di sicurezza” nella grande crisi della post modernità.

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