Qui non si butta via niente, ci pensa la QUI Foundation, con il suo progetto Pasto Buono. Nato con l’obiettivo di combattere gli sprechi alimentari, utilizzando i prodotti invenduti per sfamare le persone in difficoltà, il progetto è rivolto a tutti i bisognosi, sia che essi siano senza fissa dimora o persone in difficoltà economiche, sociali, personali o di salute. Grazie a una fitta rete di partner, che quotidianamente donano le eccedenze alimentari, la QUI Foundation opera dal 2008 sia a livello nazionale che internazionale occupandosi della redistribuzione del cibo donato.
Il progetto Pasto Buono attivo non solo a Genova, dov’è nato nel 2008, ma anche in alcune delle principali città italiane come Roma, Milano, Napoli, Firenze, Cagliari, Mantova e Civitavecchia, solo nell’ultimo anno ha “salvato” dai locali della ristorazione e donato 300mila pasti a famiglie bisognose e mense caritative. Sono moltissimi, infatti, i locali che ogni sera gettano via l’invenduto, anche se ancora sano e integro.
L’iniziativa mette in contatto bar, ristoranti, rosticcerie, tavole calde, panetterie e altro con le Onlus del territorio, riuscendo a rispondere a due problemi: quello degli sprechi e quello della fame che, secondo gli ultimi dati Istat, riguarda 6 milioni di persone in Italia. E conta sulla generosità degli esercizi del territorio, ma anche di grandi gruppi come Tirrenia, la compagnia di navigazione, che offre nei porti di Civitavecchia, Napoli e Cagliari, i pasti in più dei suoi ristoranti, consegnandoli alle Onlus quando le navi attraccano. O il gruppo Cremonini, che a Roma e Milano ha cominciato a consegnare ai volontari le eccedenze dei punti Chef Express.
La sensibilità sul tema degli sperperi è cresciuta, nell’ultimo anno, grazie all’Expo di Milano e alle iniziative collaterali (dalla Carta di Milano alle Food Policy), permettendo alle associazioni come QUI Foundation di ampliarsi e ricevere l’aiuto di nuovi volontari e ristoratori. E sono tante anche le iniziative promosse dai singoli cittadini per porre fine allo spreco di cibo.
Ma la sensibilità che oggi vediamo crescere in tanti cittadini, rivela una cultura secolare abituata al risparmio e alla precarietà. I monasteri e i conventi che vivevano della carità facevano della cultura del risparmio la loro dimensione ascetica. I poveri che affollavano le porte dei conventi non ricevevano gli avanzi, ma facevano parte di uno stile di vita di essenzialità e di condivisione.
Anche il giovane Gabriele, come emerge dalle sue lettere, faceva dell’accoglienza dei poveri sia nella sua famiglia che nella vita religiosa uno stile di vita. Come meravigliosamente viene esplicitato in una preghiera rivolta al santo. “Tu amasti i poveri, o san Gabriele, e scegliesti la vita di povertà nella famiglia dei passionisti. Fin da bambino rinunciavi a qualche pasto e ai tuoi risparmi; da religioso ti occupavi dei poveri e scrivevi a tuo padre di essere generoso con loro. Ottienici da Dio che i responsabili del mondo lavorino per una giusta distribuzione dei beni. Concedici di rinunciare all’accumulo dei beni che è un’ingiustizia verso i poveri e di saper condividere quello che abbiamo coi più bisognosi”.