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PIÙ LUOGHI APERTI MENO CITTÀ D’ARTE

le vacanze ai tempi del Coronavirus Secondo l’indagine di Confturismo-Confcommercio gli italiani preferiscono mare e montagna, anche se per soggiorni “micro”. Il sociologo Alessandro Amadori: “È l’occasione per riscoprire le cose semplici, come accadeva nel Dopoguerra e negli anni del boom economico quando era tutto molto più sobrio”

Le vacanze ai tempi del Coronavirus sono una corsa a ostacoli. Dopo i lunghi giorni del lockdown, gli italiani vogliono andare in ferie senza troppe difficoltà e senza il rincaro dei prezzi ma devono fare i conti con la paura del contagio e le ristrettezze economiche causate dal lungo stop imposto dalla pandemia. Gli operatori sperano, invece, di poter fermare l’emorragia del settore che vale il 13% del Pil nazionale e con il virus ha subito un tracollo che si sentirà anche nei prossimi anni.

È una sorta di anno zero per tutti. Fortuna che siamo in Italia dove le bellezze non mancano, dal mare alle città d’arte, dalle mete di montagna a quelle rurali. “Turismo di prossimità”, lo chiamano i sociologi dopo l’epoca d’oro delle mete esotiche e dei viaggi extracontinentali offerti da pacchetti turistici a buon prezzo. Molti sfrutteranno le seconde case di villeggiatura, al mare o in montagna.

La fotografia delle vacanze degli italiani nell’estate del Covid-19 l’ha scattata Confturismo-Confcommercio in collaborazione con l’istituto di sondaggi Swg: ci saranno vacanze “micro” con una decisa propensione verso la montagna, il mare e i luoghi aperti e meno voglia di città d’arte. Dall’indagine emerge come sia in salita rispetto ad aprile (dal 19% al 48%) la quota d’italiani che pensa di fare le valigie nei mesi tra luglio e agosto. L’anno scorso, nello stesso periodo erano il 70%. I viaggi saranno brevi, anzi brevissimi, massimo tre giorni. E un italiano su cinque pensa che non farà vacanze quest’anno.

Quanto alle mete, sale la scelta del mare per il 49% mentre aumenta l’attrattività delle mete montane, probabilmente percepite come spazi aperti e quindi più sicuri: il 23% contro il 18% di maggio 2019. Effetto contrario per le città d’arte: solo il 15% degli intervistati visiterà musei, monumenti e mostre in vacanza, contro il 37% dello scorso anno. Meno turisti nelle città portano effetti negativi a catena su tutto l’indotto. Lo shopping ad esempio è indicato solo dal 5% degli intervistati contro il 20% di un anno fa. Un disastro annunciato per quelle attività dei servizi e del commercio locali che confidano sui turisti, ben più che sui residenti, per realizzare i loro obiettivi di volume d’affari. Ma a preoccupare più di tutto è il tipo di vacanza che gli italiani faranno quest’estate. Sono 35 su 100 a dichiarare che comunque faranno viaggi brevi, con 2 o 3 pernottamenti al massimo, restando nelle vicinanze di casa.

Le istantanee della crisi del settore sono tante. A Venezia, il sindaco Luigi Brugnaro ha calcolato un mancato introito di 115 milioni di euro. Molti stabilimenti balneari, dalla Liguria alla Romagna fino al Sud, si stanno attrezzando per distanziare gli ombrelloni in spiaggia e garantire un accesso ordinato al mare. E questo comporterà maggiori costi. Non ci saranno turisti stranieri, o comunque saranno molto meno numerosi rispetto al passato.

Un ritorno agli anni Cinquanta”

“Ci sono in gioco tre forze diverse tra le quali si dovrà trovare la sintesi – spiega il sociologo Alessandro Amadori – una è la voglia di muoversi, svagarsi, uscire da casa dopo mesi di riduzione comportamentale, tensione e paura, con l’obiettivo di recuperare una dimensione di leggerezza. E poi ci sono due forze che agiscono in senso opposto: una è economica, con l’Istat che ha già calcolato la perdita di 270mila posti di lavoro e la Banca d’Italia che prevede per quest’anno un crollo del Pil del 12 per cento”.

Quest’aspetto, secondo Amadori, comporterà “un’elevata prudenza e una propensione alla spesa ridotta per tutti gli italiani”. Infine, la terza forza: “è l’insieme di regole che dobbiamo seguire per evitare il diffondersi del contagio ma che rendono difficile soddisfare la voglia di uscire e divertirsi. Oggi purtroppo è diventato frustrante fare le cose di ieri. Se uno deve andare anche solo a comprare un costume da bagno deve fare una fila di mezz’ora, soprattutto nei negozi in città”.

Andare all’estero è difficile, e comunque abbastanza rischioso: “Sa-ranno vacanze di prossimità, meno complesse dal punto di vista logistico e forse anche meno costose. Questo ci permetterà di dare una mano al Paese che si trova in gran difficoltà economica”, nota il sociologo.

Le vacanze ai tempi del Coronavirus per Amadori sono un ritorno al passato: “In un certo senso siamo alla classica vacanza all’italiana, a due passi da casa, tranquilla, con meno eventi e forse con meno adrenalina. Possiamo riscoprire le cose semplici, come accadeva nel dopoguerra e negli anni del boom economico quando era tutto molto più sobrio”.

Per Amadori le tre parole chiave dell’estate 2020 sono: “Prossimità, essenzialità e sobrietà”.

Quest’ultime, specifica, “non tanto per ragioni etico-morali e valoriali ma per il contesto in cui ci dobbiamo muovere. Ci accontenteremo di meno, ce lo faremo piacere e magari scopriremo che si può fare una vacanza bella e appagante anche a pochi passi da casa, andando a visitare luoghi che neppure conoscevamo”.

Gli italiani che non hanno perso il lavoro durante la quarantena hanno continuato a guadagnare senza spendere e molti, come dimostrano i dati diffusi dall’Abi (Associazione bancaria italiana) hanno risparmiato di più: “Questa propensione al risparmio, che vale anche per le vacanze, è indicativa, saremo più prudenti perché ci aspetta un periodo di elevata incertezza – spiega Amadori, – italiani, russi e giapponesi sono i popoli più propensi al risparmio, in momenti d’incertezza come questo mettono fieno in cascina. È normale”.

Poi c’è chi non ha la certezza di un reddito: “Pensiamo ai cinque milioni di partite Iva o agli artigiani e commercianti, insomma tutto quel mondo di micro imprese, come bar e ristoranti, che anche con la ripresa delle attività hanno la certezza di un calo di fatturato del 40-50 per cento a causa del distanziamento sociale. Ci sono segmenti di popolazione che non godono di un reddito certo e quindi saranno ancora più prudenti. Sobrietà vuol dire anche massima prudenza nello spendere”.

Per Amadori però il bicchiere è mezzo pieno: “Noi – afferma – dobbiamo rivalutare come sistema-paese il turismo domestico, negli scorsi anni abbiamo avuto un grande incremento dei turisti provenienti dall’estero e questo è un dato positivo. Però, specie in alcune regioni come il Veneto, i flussi sono concentrati solo su Venezia. Se questa città riposa un po’ in termini di usura del territorio non fa male, mentre magari viene riscoperto il cosiddetto ‘Veneto minore’. Io personalmente sono soddisfatto se vedo meno navi giganti attraccare in piazza San Marco e riscoprire di più i piccoli borghi veneti. Fino a qualche anno fa elogiavamo l’Italia dei piccoli paesi, un po’ come uno slogan, questo è l’anno giusto per riscoprire concretamente questa parte del Paese che può costituire un’offerta turistica variegata e soddisfacente anche per i turisti che arrivano dall’estero. Per esempio, la Calabria montagnosa e boschiva è un patrimonio poco sfruttato ma molto ricco”.

Amadori invita a prendere esempio dai cugini francesi: “Se avessimo il loro orgoglio, coglieremmo quest’anno di transizione per riscoprire l’Italia e allargare l’offerta turistica, da proporre in futuro, valorizzando tanti itinerari che offrono bellezze artistiche e naturalistiche a portata di mano. Per fare questo ci vuole un piano nazionale e non bisogna andare in ordine sparso come spesso purtroppo accade. È un’altra delle sfide del dopo virus da affrontare”.

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