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Politici attenti a come parlate!

Perché tanta aggressività, collera, emotività nel linguaggio dei nostri politici? Inconscia ammissione di mancanza di argomenti validi, tentativo di impedire il confronto? La democrazia esige partecipazione, dibattito e fiducia.

Sono tante le cose che in Italia potrebbero andare meglio. Per la maggior parte dei casi ci vuole tempo e soldi e in Italia ambedue sono molto scarsi (sì, è scarso anche il tempo: troppe sono le urgenze!). In altre situazioni però basterebbe poco, solo un po’ di buona volontà. Ed è su questo poco che desidero soffermarmi.

Tanto per cominciare: perché molti (troppi!) nostri politici appaiono in TV sempre infuriati? Perché i loro interventi sono costellati di insulti, a volte anche volgari? Perché aggrediscono l’avversario invece di discutere pacatamente come si usa tra gentiluomini? Perché più che agli argomenti razionali fanno ricorso all’emotività (parlano alla pancia più che al cervello, si usa dire!). Il rispetto per l’avversario non è una debolezza ma un valore.

Immagino che qualcuno mi rida in faccia: non sono questi i veri problemi che preoccupano gli italiani! Invece molti connazionali sono disturbati dal linguaggio dei nostri politici. Vorrebbero capire le tesi opposte, partecipare al dibattito, che in fondo li riguarda, e invece più che argomentazioni sono costretti ad ascoltare parole colleriche e rudi. Non gradiscono quelle parole, ma dispiace soprattutto il fatto che non si possa discutere pacificamente dei problemi del Paese. Eppure la democrazia è partecipazione e dibattito.

E comunque le parole non sono innocue. Non si tratta di semplice precisione ed eleganza del parlare. Le parole sono sostanza, concetti, idee, pietre, esprimono sentimenti, come ricorda la sapienza antica: “Se una frusta ti colpisce, ti lascia il segno sulla pelle, ma se ti colpisce la lingua, ti spezza le ossa. La spada uccide tante persone, ma ne uccide più la lingua che la spada” (Sir 28,17-18). Temo che questa citazione possa ritorcersi contro di me, infatti alcuni politici parlano con tanta furia da dar l’idea che se potessero spezzerebbero non solo le ossa dell’avversario. E allora vale un altro proverbio: chi di insulto ferisce, di insulto perisce!

E la dialettica politica dove la mettiamo? La dialettica in politica è necessaria, positiva, ma esclude la demonizzazione dell’antagonista. Si fonda sull’esposizione e sul confronto degli argomenti razionali non sull’aggressione verbale e l’insulto. Sorge il dubbio che questi politici sapendo di non riuscire a convincere il rivale con gli argomenti razionali facciano ricorso alla retorica violenta ed emotiva. Forse, come gli adolescenti, pensano che parolacce e rabbia rendono più convincenti i loro argomenti. Oppure, in mancanza di argomenti validi, pensano di supplire con la maleducazione? Invece un eloquio aggressivo, tanto più se volgare, è un segno di debolezza.

Purtroppo questo linguaggio ruvido e rozzo è usato non soltanto con gli avversari domestici, ma anche con le istituzioni europee, con le quali dobbiamo fare i conti. Infatti il Paese è in crisi, è ultimo per crescita nell’Europa Unita, vecchio (gli ultra sessantenni sono più numerosi di chi ha meno di 20 anni), con una emigrazione giovanile di tecnici e laureati molto superiore agli immigrati (contro cui sembrano concentrarsi tante energie), con un debito pubblico enorme pari a 2.327 miliardi, il 132% della ricchezza che gli italiani riescono a produrre in un anno. In queste condizioni l’Italia ha disperato bisogno di sostegno, comprensione, fiducia, a partire dalle istituzioni europee (che non peccano di eccessiva simpatia per noi).

Lo ha riconosciuto il presidente Sergio Mattarella, l’8 novembre scorso, ricevendo i Cavalieri e gli Alfieri del lavoro: “Abbiamo assolutamente bisogno di ispirare fiducia”. In effetti gli italiani non hanno solo un enorme debito ma anche un grande deficit di fiducia, soprattutto in se stessi. Se si usa un linguaggio che suscita conflitto e contrapposizione non si riesce a mobilitare il paese per lavorare per lo sviluppo e il benessere. E allora è chiaro che pretendere un parlare più corretto e rispettoso, aderente ai fatti più che alle emotività, non è una questione secondaria, di puro galateo, un’evasione dai problemi, ma significa porre le condizioni per creare quella fiducia che è alla base della soluzione di tutti gli altri problemi.

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