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Saziaci al mattino con il tuo amore

Sarà perché novembre comincia con due ricorrenze, i Santi e i Defunti, che fanno pensare all’aldilà; sarà perché in questo mese finisce l’anno liturgico e ne comincia l’Avvento e anche questo invita a pensare al tempo che passa; sarà anche perché è il periodo in cui si preparano i nuovi calendari; comunque sia, novembre ha fatto ronzare nella mia mente, in modo quasi ossessivo, il salmo 90 e in particolare il versetto 12 che recita: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”. E mi sorprendo a cercare il senso del collegamento tra la saggezza del cuore e una certa contabilità dei giorni che passano.

Il salmo 90 è una meditazione sapienziale sulla vita umana e la sua caducità e pone a confronto la fragilità dell’uomo e l’eternità di Dio. L’uomo è come l’erba che “al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca”. Di Dio è detto: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio”.

Perché dovremmo pregare Dio di insegnarci a contare i nostri giorni? Contare i nostri giorni è già ammettere che i giorni a nostra disposizione sono in numero limitato, è prendere coscienza della nostra precarietà e finitezza. Se fossero infiniti non vi sarebbe necessità di contarli. Eppure spesso ci si comporta come se avessimo l’illusione di essere eterni.

La contabilità del passato sembrerebbe facile: i computer in un battibaleno ci dicono non solo i giorni, ma anche le ore, i minuti, i secondi… Non penso che questo tipo di contabilità puramente ragionieristica sia molto utile. Tanto più che per i giorni a venire questa contabilità è impossibile e si può al più basare sull’aspettativa di vita, che però è un dato statistico, una media fra chi vive 100 anni e ne “regala” (solo sulla carta!) un po’ a chi è deceduto a 60 anni. “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera” (Salvatore Quasimodo).

In realtà, siamo padroni solo dell’attimo presente. Ciò significa che ogni giorno dovrebbe essere vissuto non come una maledizione, un dono avvelenato (come vuole una cearta letteratura), ma come un talento da investire, come una nuova opportunità che ci viene data e che potrebbe essere anche l’ultima (inutile toccare ferro, è la realtà!). Questo però può avvenire solo se i nostri giorni precari si aprono all’eternità di Dio, altrimenti sono solo un vano agitarsi, “fatica e delusione”. La finitezza e caducità della nostra vita non si oppone alla eternità di Dio, ma è da essa abbracciata, assorbita, resa possibile anche a noi. I nostri giorni finiti sono immersi nel “giorno infinito” di Dio e questo li rende preziosi e produttivi.

Dio è il “rifugio”, spesso immaginato con il volto adirato con noi per le tante colpe, ma sempre pronto alla pietà, a ridonare la gioia della sua amicizia. Per questo il salmo implora: “Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda”. Accende, non smorza l’operosità e l’intraprendenza umana, tanto meno spegne la gioia di vivere.

La preghiera “insegnaci a contare i nostri giorni”, di conseguenza, ci rende consapevoli del valore del tempo, impreziosito dal fatto che i giorni sono limitati e precari, un tesoro finito capace di farci accedere alla infinitezza di Dio. Comprendere questo e vivere di conseguenza significa acquisire un “cuore saggio”.

La quantità dei giorni allora diventa secondaria perché l’importanza dipende da come riempiamo di eternità il tempo che viviamo: Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte”. San Gabriele dell’addolorata è morto a nemmeno 24 anni di età, chiuso in uno sperduto conventino, senza aver avuto la possibilità di far nulla di quello che si ritiene socialmente importante. Possiamo forse dire che la sua vita, stroncata apparentemente sul più bello, sia stata un’incompiuta? La sua vita è stata piena, colma, anzi straripante, tanto che la sua “vitalità”, a più di 150 anni dalla sua morte,non solo non si è esaurita ma è un crescendo continuo. Giustamente la liturgia applica a san Gabriele le parole della Sapienza (4,14) “Consummatus in brevi explevit tempora multa”: In breve tempo ha raggiunto la pienezza della vita. Particolare importante: pur malato, impossibilitato a coronare il sogno di diventar sacerdote era felicissimo: “La mia vita è un continuo godere…la gioia che provo è indicibile”, scriveva. E noi fiduciosi prendiamo in prestito l’invocazione a Dio del salmo: “Consumiamo i nostri anni come un soffio”, ma ”saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni”.

 

 

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