“La precarietà – ha ammonito Francesco in occasione della Settimana sociale – uccide la dignità, la salute, la famiglia, la società”. Gli fa eco il presidente della Cei: “Bisogna essere franchi: il tempo delle chiacchiere è finito. Così come è ormai definitivamente concluso il tempo dei finanziamenti pubblici senza un progetto”
La parola di papa Francesco è risuonata molte volte all’interno dei lavori della scorsa 48esima Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Cagliari sul tema Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale. Non solo per il suo videomessaggio, indirizzato ai convegnisti. Ma anche e soprattutto perché il fiume carsico dell’Evangelii gaudium ha percorso le storie dei volti dei lavoratori e del lavoro, dei disoccupati e dei precari, e ha dato forza a tutte quelle “buone pratiche” che rappresentano già oggi il presente e il futuro di quel bene comune di cui tanto si parla e di cui poco si pratica.
Le parola maggiormente risuonata a Cagliari è stata “lavoro degno”. E dal “lavoro degno” si è partiti per iniziare percorsi che sono andati dalla denuncia del lavoro che non c’è o è precario (caporalato, lavoro nero, agro mafie, ecomafie eccetera), alla proposta di buone pratiche, al racconto delle prospettive dell’innovazione, sino ad arrivare ad alcune proposte in sede parlamentare.
Il cardinale Bassetti, presidente della Cei, ha sottolineato il metodo del Convegno ecclesiale di Firenze. A Firenze infatti è stato sviluppato un metodo sinodale e partecipativo accogliendo gli apporti delle diocesi italiane in forma di video e di racconti di denuncia e, soprattutto, di buone pratiche. Insomma, meno lamenti, più proposte.
Un confronto che è partito appunto dalle parole del papa. “Io ho sentito tante volte questa angoscia – ha detto Francesco in un videomessaggio -: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono. Rimane poi la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi”.
Papa Francesco, con il suo stile diretto e franco, è andato subito al sodo, non nascondendo quello che è uno dei punti più problematici che percorre il mondo del lavoro. Per Francesco ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone, “quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione”.
Lavoro degno, disoccupati, sottoccupati: l’argomentario di papa Francesco è stato più di un monito. Quasi un percorso nel mare aperto della Chiesa in uscita e della società italiana in crisi che sa asciugare le ferite dell’umanità ma che sa farsi anche sentire nei luoghi dell’istituzione e della politica.
A queste parole profetiche si è agganciato il cardinale Bassetti proponendo tre sfide irrinunciabili per una Chiesa che sa annunciare la buona notizia anche nel mondo del lavoro. Il primo elemento sottolineato dal cardinale è rinnovare la teologia del lavoro. La Chiesa non è un’agenzia sociale che si occupa di lavoro come un qualsiasi ufficio di collocamento pubblico o privato, “ma ha profondamente a cuore il lavoro perché lo vede come un luogo in cui si manifesta la collaborazione tra Dio e l’uomo”. Il lavoro degno cammina insieme all’ambiente, alla salvaguardia del Creato. Un sistema che, se privo della tensione verso Dio, riduce l’uomo e l’ambiente a semplici oggetti da sfruttare in modo illimitato e senza cura. “In questo modo, il lavoro si disumanizza e diventa uno strumento di manipolazione della nostra casa comune”.
Un no, quindi, all’idolatria del lavoro che produce solamente carrierismo e un sì al tempo del riposo. Il lavoro è solo una parte della giornata di un uomo. Il resto deve essere dedicato all’otium, al tempo libero, alla famiglia, ai figli, al volontariato, alla preghiera.
La seconda sfida è la parola paese. È vero che il mondo occidentale è attraversato da una nuova questione sociale. Ma è ancor più vero che in Italia queste disuguaglianze hanno toccato profondamente i giovani. Reddito e occupazione non solo stanno favorendo le generazioni più vecchie, ma stanno incentivando una drammatica emigrazione di massa dei giovani. “Lo voglio dire senza tentennamenti: questa situazione è inaccettabile! Si tratta di un fenomeno ingiusto che è il risultato di un quadro sociale ed economico dell’Italia estremamente preoccupante”.
Infine, la terza e ultima sfida: la politica. “Bisogna essere franchi: il tempo delle chiacchiere è finito. Così come è ormai definitivamente concluso il tempo dei finanziamenti pubblici senza un progetto. Questo tempo ci ha lasciato un debito pubblico, che non è solo un preoccupante costo economico per lo Stato, ma è soprattutto un drammatico costo sociale per la vita delle persone”.
La Chiesa italiana, dunque, chiede una nuova politica coraggiosa che scelga come norma di indirizzo l’imperativo del bene comune, a partire dai poveri e dai giovani, e non solo a parole. “Le parole se le porta via il vento, i provvedimenti concreti sono invece un tentativo realistico per il futuro dell’Italia e dell’Europa”.
L’Evangelii gaudium e la Laudato si’ sono i fari cui orientarsi nella notte lunga della crisi economica e sociale che attraversa tutto l’occidente. La Chiesa italiana abbraccia le storie dei lavoratori, disoccupati, precari e sottoccupati. Un annuncio della buona notizia che non è solo assistenza spirituale, ma è rinnovata e concreta volontà di entrare a far parte delle storie degli uomini. A difesa delle storie degli uomini. Senza sconti a nessuno.