In occasione della ricorrenza della morte del santo proponiamo una visita virtuale nei luoghi dove viveva, studiava, pregava e interagiva con i confratelli. Ci serviamo anche di alcuni aneddoti che ci presentano il suo modo di comportarsi
Il mese di febbraio, per me è inseparabilmente associato a san Gabriele. Per questo motivo, mi è venuta l’idea che dovrebbe risultare gradita ai lettori. Lungo il corso degli anni, milioni di pellegrini hanno visitato il santuario ai piedi del Gran Sasso. Non tutti però, hanno avuto il “privilegio” di vedere e intrattenersi nei luoghi interni del convento, dove il Santo ha vissuto la sua vita quotidiana.
In questo servizio, ho pensato di farmi virtualmente guida di tanti pellegrini che desiderano visitare i luoghi, dove san Gabriele viveva, studiava, pregava e interagiva con i confratelli. Ci serviamo anche di alcuni aneddoti che ci presentano il suo modo di comportarsi.
Iniziamo con una nota storica. Il gruppetto di studenti passionisti che doveva recarsi da Pievetorina (MC) al convento di Isola del Gran Sasso (TE), per il Corso di Teologia, era composto da sette giovani, compreso san Gabriele. Il loro accompagnatore era il Direttore padre Norberto Cassinelli. La comitiva partì la mattina del 4 luglio 1859 e giunse a Isola il pomeriggio della domenica 10 luglio 1859.
L’ingresso della casa religiosa, appartenuta in precedenza ai Frati Conventuali, è lo stesso di oggi. E’ sormontata da una targa marmorea, in cui si legge la data dell’arrivo del “futuro Protettore d’Abruzzo.
Il padre di san Gabriele, Sante Possenti, assessore del Regno Pontificio a Spoleto, rimase alquanto triste dell’allontanamento del “suo Checchino”. Per di più, lui era membro onorevole del Regno Pontificio; il figlio, un semplice fraticello del Regno di Napoli.
Il nostro Santo, per la sua innata sensibilità, dopo aver trascorso alcuni giorni nella nuova sede, ed aver constatato la bellezza del luogo, il clima salubre e la gentilezza della popolazione, si affrettò a scrivere una stupenda lettera al papà per rassicurarlo e confortarlo: “Car.mo Padre, Domenica sera, 10 luglio, grazie a Dio, giungemmo felicemente in questo convento. L’aspetto di molti alberi fruttiferi mi conferma in ciò che scrissi essere questo un clima dolcissimo e io, grazie al Cielo, ci sto Contento” (dalla lettera di san Gabriele del 19 luglio 1859).
Entriamo anche noi nel convento e cerchiamo di intuire i sentimenti che prova il Santo nel camminare lungo questi corridoi ampi e luminosi, tipici dei conventuali. Al suo tempo però non poteva ammirare gli affreschi sui muri, perché erano stati coperti da intonaci per evitare eventuali contagi epidemiche. Essi sono stati riscoperti casualmente da padre Natale Cavatassi nel fare una traccia per i fili della luce.
Ora visitiamo il refettorio dove san Gabriele consumava i pasti con la comunità. Oggi il locale viene usato per incontri comunitari. Sul muro di fondo, al centro, è stata posta una targa con la scritta: “Hic erat triclinium…” (ossia: qui c’era il refettorio o sala da pranzo).
E’ interessante il fatto che sia stato rimosso e collocato nella camera del transito. Si tratta, a mio avviso, di un’autentica reliquia. Soprattutto, alla luce della seguente testimonianza deposta nei processi di beatificazione da parte del direttore padre Norberto Cassinelli: “Un anno mentre eravamo ad Isola, vi fu carestia. Il superiore non contento di accrescere la consueta elemosina alla porteria, permise ai religiosi di lasciare il cosiddetto “piattino” (praticamente un piatto dove ognuno metteva qualcosa del suo pasto, ndr) per soccorrere maggiormente i poveri. Fu un giubilo per confratel Gabriele. Dovetti sorvegliarlo perché non eccedesse a proprio detrimento. E nel lasciare ciò che gli era permesso, sceglieva la porzione migliore e con una pulizia che uguale non avrebbe usata an se stesso. E qualche volta diceva ai compagni: i poverelli sono degni dei migliori bocconi. Tutto poi faceva – continua il direttore – con un interesse, con un trasporto che si vedeva ad occhio che si trattava di cosa tutta di suo genio”.
Adesso visitiamo una scalinata interna dove san Gabriele saliva e scendeva più di una volta al giorno. E’ quella originale. Ripida e con i gradini in pietra levigata. Un giorno scendendo, forse con un po’ di fretta, scivolò e raggiunse il piano del corridoio, scorrendo comodamente le scale sui glutei. Non si fece male. Ma quella caduta suscitò ilarità ai compagni.
Al primo piano, proprio all’angolo del “quadrato” (cosiddetto, perché le camere sono circondate da un corridoio) si trova la cameretta dove alloggiò san Gabriele fino al 1861. Ha la finestra che si affaccia sul cortile interno. Un giorno stando in camera, sentì un religioso camminare lungo il corridoio. Man mano che si avvicinava, dal passo riconobbe che era il suo direttore spirituale. Si alzò, aprì la porta e lo pregò di entrare. Appena padre Norberto varcò la soglia della porta, gli si inginocchiò davanti e gli chiese con parole infuocate: “Padre, mi dica se nel mio cuore c’è qualcosa che non piace a Dio, perché lo voglio estirpare ad ogni costo!”. Il direttore, profondamente commosso, gli rispose di stare tranquillo e di andare avanti. Poi si portò alla finestra. Era d’inverno. La neve copriva tutto il cortile sottostante. All’improvviso, spunta dalla neve un meraviglioso giglio. Era la risposta del Cielo. Oggi in quella cameretta c’è un piccolo altare per celebrare la messa.
Nel 1861 padre Norberto cede al suo figlio spirituale la sua camera che è più assolata. Confratel Gabriele, già aggravato dalla tubercolosi, ci va, ma solo per prepararsi al suo sacro transito. La Madonna lo aspetta. In seguito, spero di tornare su questi temi.