Carlo Houben

Passò benedicendo, risanando e perdonando. Sempre pronto ed   affabile. Povero tra i poveri, fece della sua vita un dono ai sofferenti.   Tutto di Dio, tutto del prossimo. I bisognosi nell’anima e nel corpo   non lo lasciavano riposare neppure un istante. Profondamente affezionato   alla famiglia e alla patria lavorò per lunghissimi anni lontano   dall’una e dall’altra, trovando nei sofferenti i propri fratelli e   nella terra di Irlanda la sua patria. Ogni giorno circa trecento persone   accorrevano a lui attratte dalla fama delle sue virtù e spinte dalla   consapevolezza di andare da un santo. E trovavano un cuore compassionevole   e aperto, gentile e paziente, disponibile e tenero, immagine   viva della misericordia di Dio. Medici ed infermieri di   Dublino quando il caso era disperato si arrendevano incrociando le   braccia, sospiravano guardando il cielo e concludevano: “Andate a   chiamare padre Carlo”. E Carlo accorreva nelle case e negli ospedali   con ogni tempo e ad ogni ora portando spesso il dono di una guarigione   insperata e sempre un sorso di serenità. Con amore preparava   i moribondi alla morte, inginocchiato in preghiera vicino al   loro letto. Attestano che era “completamente a disposizione degli   infermi, dei poveri e dei moribondi. Non si lamentava mai, neanche   quando gli si chiedevano servizi oltre il ragionevole, ciò che   accadeva in continuazione. Quello che contava per lui era che essi   erano in difficoltà ed avevano bisogno del suo aiuto; egli lo donava   subito e con grande amore”.   Figlio del mugnaio della zona, il quale è anche proprietario di   una fiorente azienda e di fertili terreni, Carlo nasce a Munstergeleen,   nella regione del Limburgo in Olanda, l’11 dicembre 1821. E’ il quarto   di dieci figli. Si accosta alla prima comunione il 26 aprile 1835 e   riceve la cresima il 28 giugno dello stesso anno. “Andate a cercarlo   in chiesa”, dice sicura la mamma quando il figlio tarda a tornare. E   non sbaglia. Il suo Giovanni Andrea (questo il nome di Carlo prima   di diventare passionista) non può che essere lì a colloquio con il   Signore che sente straordinariamente vicino e che stima prezioso   più di ogni altra cosa. “Conosceva solo due strade, quella della chiesa   e quella della scuola”, aggiungerà il fratello Giuseppe. E’ chierichetto   in parrocchia, si iscrive alla confraternita dell’adorazione perpetua.   Non ha una grande intelligenza, ma è tenace nello studio e vi si   applica con grande impegno. Ma a cosa gli serve studiare? si chiedono   i famigliari. Non certamente per pensare al mulino o per curare   l’azienda. Il giovane però accarezza segretamente un grande sogno:   diventare sacerdote. La sua vocazione si consolida durante il servizio militare che   per Giovanni Andrea dura solo tre mesi. I genitori infatti trovano   un giovane a pagamento che lo sostituisce. Nel tempo trascorso sotto   le armi il giovane conosce i Passionisti. Tornato a casa riprende gli   studi: la sua intelligenza, come per miracolo, diventa viva; il profitto,   di conseguenza, buono. A ventiquattro anni è accolto dai   Passionisti: il 5 novembre 1845 entra nel noviziato di Ere in Belgio;   il 2 dicembre veste l’abito scegliendo il nome di Carlo. Di lui novizio,   un suo compagno lascerà questa testimonianza: “Mi sentivo molto   edificato davanti alla sua grande santità. Era esemplare, pieno di   fede e di pietà, esatto, osservante delle Regole, semplice, amabile e   di carattere dolce. La sua pietà e la sua naturale allegria gli guadagnarono   la stima e l’affetto di tutti”. Il 10 dicembre 1846 professa i   voti religiosi; si dedica poi allo studio della filosofia e della teologia.   Durante il periodo della formazione ha la gioia di conoscere il   beato Domenico Barberi. Il 21 dicembre 1850, a ventinove anni, viene   ordinato sacerdote. Nessuno della famiglia è presente alla festa.   La mamma è morta da sei anni, il papà da quattro mesi.   Nel 1852 è inviato in Inghilterra dove i Passionisti sono arrivati   da dieci anni e dove è ancora vivo il ricordo del beato Domenico,   morto da circa tre anni. Il giovane sacerdote olandese non tornerà   più in patria né rivedrà alcuno dei suoi famigliari. Per oltre quarant’anni   vivrà nelle isole britanniche e per questo popolo spenderà   la sua vita. Dimora ad Aston Hall dove stringe amichevoli rapporti   con gli immigrati irlandesi impiegati nel durissimo lavoro delle   miniere. Carlo li amerà sempre e li chiamerà affettuosamente “la   mia gente d’Irlanda”. Svolge “con squisita sollecitudine” anche l’ufficio   di vicemaestro dei novizi offrendo ai giovani l’esempio di una   anima contemplativa. Per breve tempo è impegnato nella parrocchia   di San Wilfrido. Nel 1857 è trasferito a Mount Argus-Dublino,   in Irlanda, dove i Passionisti sono arrivati appena da un anno. Qui   si ritrova con il popolo irlandese già conosciuto Inghilterra. E’ affa-   scinato dallo loro bontà. Ammira questi buoni “Irlandesi che, scrive,   per più di trecento anni soffrirono crudeli persecuzioni, e nonostante   tutto si mantennero fedeli alla religione cattolica”.   A Dublino i Passionisti progettano la costruzione di una grande   chiesa e di un accogliente convento che dovrà ospitare gli studenti   e fungere anche da casa di esercizi spirituali. Per reperire i fondi   necessari Carlo percorre l’Irlanda, raggiunge città e paesi chiedendo   aiuto alla gente. Riceve certamente molto; ma offre ancora di   più: l’esempio della sua vita umile e sorridente, una parola di conforto,   una benedizione, una preghiera. E molte volte lascia dietro di   sé anche un miracolo a lungo atteso. La nuova casa religiosa viene   inaugurata nel 1863; per la chiesa dedicata a san Paolo della Croce   bisognerà aspettare il 28 aprile 1878. Gran parte del merito per la   realizzazione dell’opera è di Carlo. Un confratello scrive: “Solo Dio   conosce tutto quello che lui ha fatto per rendere Mount Argus così   com’è attualmente. Il suo nome resterà per sempre legato alla storia   del convento e della chiesa”. Inconsapevolmente Carlo ha preparato   il suo santuario.   Carlo non sarà mai un grande predicatore, soprattutto per la   difficoltà della lingua, ma si ritaglia una spazio non indifferente per   un apostolato molto fruttuoso. Passa ore e ore al confessionale, assiste   i moribondi, benedice i malati con la reliquia di san Paolo della   Croce accompagnando la benedizione con commoventi preghiere   da lui stesso composte. La gente che va a trovarlo a Dublino aumenta   continuamente. Accorre numerosa perché vede in lui un santo   dotato da Dio del dono delle guarigioni; lo sente vicino per la sua   bontà e lo spirito di accoglienza. E’ preghiera, sollecitudine, misericordia   fatte persona. Il cronista della casa scriverà: “Veniva gente   da tutte le parti dell’Irlanda, ed anche dall’Inghilterra, dalla Scozia   e perfino dall’America. Molti, si diceva, erano guariti dalle loro infermità”.   La sua fama arriva anche in Australia, Nuova Zelanda e   Tasmania. Tra i visitatori non manca neppure qualche furbo di turno   o finto devoto che approfitta del nome di Carlo per i suoi interessi.   Per il continuo afflusso della gente “essendo diventato troppo   famoso per ragione delle sue straordinarie guarigioni”, nel 1866 Carlo   viene trasferito in Inghilterra. Vi resta otto anni dimorando in vari   conventi: Broadway, Sutton, Londra. L’apostolato è quello di sempre.   E Carlo deve subire il solito assedio dentro e fuori convento.   Dall’Irlanda arrivano lettere e visitatori: nessuno lo ha dimenticato.   Tornerà a Dublino nel 1874 e vi resterà fino alla morte. Il convento   di Mount Argus si riempie di nuovo di malati e sofferenti.   Carlo è sempre pronto ad accoglierli con le braccia aperte sentendosi   completamente partecipe di ogni dolore e di ogni dramma. Si   china su ogni malato lasciandovi cadere frammenti del suo cuore e   brandelli della sua anima. Ormai ha la fama di taumaturgo. Il 25   luglio 1885 per farlo riposare un po’ è inviato nel convento di Belfast.   Ma tutto è inutile. Appena lo si viene a sapere la gente lo raggiunge   anche lì. E i superiori devono cambiare ancora programma. Dopo   neppure tre settimane Carlo è di nuovo a Dublino. Da lui vanno   non sono solo i cattolici ma anche i protestanti. Tutti cercano e vogliono   il miracolo. Dice un testimone: “Sono molti i miracoli che   avvengono: noi però non facciamo il minimo caso ad essi, e molto   meno vi bada il padre Carlo”.   Scriverli tutti è davvero impossibile. Solo qualche esempio, spigolando   qua e là e con grande imbarazzo per la scelta. Un protestante   chiede a Carlo di guarirlo da una grave malattia; passerà alla   Chiesa cattolica a miracolo avvenuto. L’infermo guarisce e mantiene   la promessa. Una signora da un anno è impossibilitata a muoversi   per atroci dolori reumatici. Medici e medicine? una spesa non   lieve ma quel che è peggio, inutile. Con un carretto si fa portare da   Carlo che la benedice e prega con lei. La signora torna a casa con le   sue gambe, suscitando stupore tra parenti e conoscenti. Un giorno   gli presentano una fanciulla orfana e con un cancro che le ha deturpato   orrendamente il viso rendendola irriconoscibile. E’ ricoverata   nell’ospedale degli incurabili. Con la benedizione di Carlo il viso   torna fresco come una rosa appena sbocciata. C’è una bambina storpia   e muta nonostante cure e ospedali. La visita Carlo che le ordina   di camminare. La piccola salta in piedi gridando: “Dio mi ha guarita;   Dio mi ha guarita”. “Mamma, portami da padre Carlo; egli mi   guarirà”, implora un bambino al quale i medici hanno deciso di   amputare una gamba per gravi complicazioni dopo un incidente.   Ha ragione il piccolo. Lo spettro dell’amputazione si dissolve dopo   l’intervento di padre Carlo.   In comunità Carlo è una presenza pacificante e benedetta. Scriveranno:   “Era un modello di devozione, pieno di fede e di pietà, puntualissimo   nell’osservanza della regola, semplice ed affabile. Di carattere   mite e schietto, sempre di buon umore si faceva benvolere ed   amare da tutti. Era di una amabilità angelica. Lo si poteva far cadere   lungo disteso senza cavarne un lamento, ma solo un grazioso e incantevole   sorriso. Si contentava sempre di poco e tutto prendeva con   animo sereno. Se gli succedeva di commettere una qualsiasi mancanza,   ne domandava perdono o se ne scusava pubblicamente”.   Nel 1879 arriva a Mount Argus il superiore generale padre   Bernardo Silvestrelli che resta “profondamente colpito dal suo spirito   di preghiera e dal grado di unione con Dio”. La comunità, purtroppo,   non attraversa un momento felice, lacerata com’è da vari problemi.   Si rivela provvidenziale quindi la presenza di Carlo, testimone di   fedeltà al carisma, esempio di preghiera e di impegno apostolico. Gli   inizi della congregazione passionista in Inghilterra e ancor più in Irlanda,   sono inizi benedetti soprattutto per la sua santità.   Nonostante le occupazioni passa lungo tempo in preghiera e in   adorazione davanti al tabernacolo. Andando in camera lo trovano   spesso in estasi, come spesso in estasi è durante la messa. A volte   l’inserviente è costretto a scuoterlo perché prosegua nella celebrazione.   Vive sereno e impegnato, con la mente ed il cuore fissi all’incontro   con Dio. Del resto il continuo contatto con malati e moribondi gli rivela   la precarietà della vita e gli rafforza il desiderio del cielo. Al fratello   sacerdote scrive: “Fammi la carità di pregare in tutte le messe   che celebri, chiedendo per me una buona e santa morte”. Ai famigliari   chiede la recita di tre Ave Maria per lo stesso scopo. Alla Madonna   infatti Carlo aveva affidato la sua vocazione religiosa e il suo   apostolato; a Lei vuole affidare anche il tramonto della sua vita.   I suoi ultimi anni sono segnati da una grande sofferenza per la   cancrena ad una gamba. Infatti il 12 aprile 1881 la carrozza su cui   viaggiava era andata incontro a un grave incidente. Carlo aveva riportato   la frattura del piede destro e dell’anca. Dall’infortunio, non   guarisce mai completamente. Sopporta sereno la malattia unito a   Cristo crocifisso, cui da sempre ha conformato la vita e che da sempre   è oggetto della sua contemplazione. Non solo. Dimentica il suo   dolore per essere vicino a chi soffre. Il superiore scrive: “E’ francamente   meraviglioso come questo povero padre possa salire e scendere   una scala di cinquantanove gradini, un centinaio di volte al   giorno per benedire le persone che vengono in massa a ricevere la   sua benedizione… La gente viene a qualsiasi ora del giorno, dalla   mattina alla sera, e il povero padre Carlo è sempre più debole”.   Il 9 dicembre 1892 per l’aggravarsi improvviso della sua malattia   deve mettersi a letto. Non si alzerà più. Chi va a visitarlo lo sente   bisbigliare: “Gesù mio accetto questo dolore per amor tuo, e desidero   continuare a soffrire per piacerti”. Ha scritto in una delle sue   ultime lettere: “La croce portata pazientemente è di grande aiuto   per l’eterna salvezza”.   Chi lo assiste lascia scritto: “Il nostro padre Carlo continua a   soffrire come un santo e in comunità ne siamo tutti molto edificati…   Soffre atrocemente, però non si lamenta affatto. Non dice niente a   nessuno, eccetto quando lo visita qualche sacerdote a cui chiede   sempre la benedizione”. A Natale celebrano la santa messa nella   sua camera. E lui non sa trattenere sincere lacrime di intensa commozione   e di profonda gratitudine.   Muore all’alba del 5 gennaio 1893. Solennissimi i funerali con   gente venuta da tutta l’Irlanda. Si legge su un giornale del tempo:   “Mai prima di oggi a memoria d’uomo si è verificata una esplosione   di sentimento religioso e di venerazione profonda come quella   che si è potuta osservare intorno alle spoglie di padre Carlo”. Un   testimone annoterà che per lo spazio di cinque giorni, prima della   sepoltura, il religioso “ricevé onoranze funebri dovute ad un re oppure   a un imperatore… Il popolo preferiva pregarlo, piuttosto che   pregare per lui”.   Il superiore di Mount Argus scrive ai famigliari di padre Carlo:   “La sua morte come la sua vita è stata quella di un santo. Durante il   tempo nel quale la sua salma è stata esposta nella chiesa, una moltitudine   innumerevole, impossibile a contarsi, andava e veniva cercando   di toccare il suo corpo con rosari e altri oggetti di devozione… Il popolo   lo ha già dichiarato santo”. E la processione dei devoti e dei pellegrini   alla sua tomba non cesserà con il passare del tempo.   Giovanni Paolo II lo dichiara beato il 16 ottobre 1988 rendendo   ufficiale la santità di padre Carlo che già in vita tutti chiamavano   “il santo di Mount Argus”.