Innocenzo Canoura
Dal 1931 al 1939 la Spagna vive un periodo tristissimo della sua storia. E’ quasi un decennio di sangue e di morte che registra il martirio anche di alcuni religiosi passionisti. Un accenno brevissimo per inquadrare la situazione. Nel 1931 dopo la vittoria elettorale dei repubblicani e dei socialisti, in sostituzione della monarchia borbonica viene proclamata la seconda repubblica che si manifesta subito ostile alla religione cattolica e al clero.
Emana leggi che portano alla espul- sione di eminenti personalità ecclesiastiche, allo scioglimento di ordini religiosi, alla distruzione di chiese. Il papa Pio XI protesta con forza ma senza alcun risultato apprezzabile. Dopo le elezioni del 1933 si instaura un governo di destra che mitiga, sia pure di poco, la persecuzione contro la Chiesa. Inevitabili le ire e le proteste dei partiti di sinistra e dei diversi sindacati che si armano e minacciano la guerra civile. Il potere non riesce a controllare i moti rivoluzionari; la situazione gli sfugge progressivamente di mano soprattutto nelle Asturie (Spagna del Nord). Dal 5 al 20 ottobre nel 1934 ci sono oltre mille e trecento morti, circa tremila feriti, quasi mille edifici dati alle fiamme tra cui cinquantotto chiese. Nel 1936 ci sono nuove elezioni con la vittoria del Fronte popolare; viene nominato presidente l’anticlericale Manuel Azana.
A più riprese si proclama e si sbandiera la inutilità delle chiese e si proibisce qualunque forma di culto esterno. E si passa ai fatti. Edifici sacri distrutti, uccisioni violente, i religiosi apertamente minacciati. José Calvo Sotelo, capo dell’estrema destra monarchica, il 16 giugno denunzia in parlamento con statistiche inoppugnabili i misfatti degli avversari politici. I contrasti si accentuano e si va decisamente verso il peggio. Il 12 luglio muore assassinato il tenente Castillo, noto per le sue idee di sinistra; il giorno successivo viene ucciso Calvo Sotelo. Per porre un freno a tanto sfacelo Francisco Franco, partendo dall’esercito dislocato in Marocco, dà l’avvio alla rivolta militare che si estende subito a tutta la Spagna. E’ la guerra civile (1936- 1939). La Spagna si divide in due blocchi: quello nazionale e quello rosso. Al termine della guerra civile inizia il governo totalitario. In questo succedersi di eventi funesti tutto ciò che sa di cristianesimo viene aspramente combattuto e oppresso. Durante la rivoluzione delle Asturie subisce il martirio Innocenzo Canoura, la cui esistenza riceve luce proprio dal momento conclusivo di essa. Ma il martirio non si improvvisa. Innocenzo vi si è pre- parato con una vita semplice e lineare, in armonia con quanto a lui richiesto giorno dopo giorno dalla sua vocazione. Nasce a Santa Cecilia, nella regione della Galizia, il 10 marzo 1887 da una famiglia di agricoltori. E’ battezzato con il nome di Manuel che al noviziato cambierà in quello di Innocenzo. Conosce i Passionisti nelle missioni da essi predicate nel suo paese e chiede di diventare come loro. E’ accompagnato nel vicino convento di Mondoñedo ma solo con l’intenzione di farlo incontrare e parlare con i religiosi. Poi si vedrà. Il ragazzo invece non vuole più tornare indietro; è tanto deciso che bisogna accontentarlo. Entra così nel seminario passionista a Deusto-Bilbao. La dichiarazione del parroco circa l’aspirante non può essere migliore. Dice infatti che Manuel “ha una irreprensibile condotta morale e religiosa, costituendo una eccezione tra quelli della sua classe”. Nel 1902 lo troviamo a Peñafiel (Valladolid) dove attende agli studi per circa due anni. Nel 1904 è di nuovo a Deusto-Bilbao per l’anno di noviziato. Durante il noviziato riceve la cresima (si dubita della veridicità dei documenti dai quali risulta che l’avrebbe ricevuta il giorno stesso del battesimo) e il 27 luglio 1905 emette la professione religiosa. Si prepara al sacerdozio studiando a Corella, Mondoñedo e Mieres. Viene ordinato sacerdote a Oviedo il 20 settembre 1913 all’età di ventisei anni. Trascorso un anno dalla ordinazione sacerdotale, Innocenzo viene inviato a Daimiel dove insegna filosofia e teologia ai giovani studenti passionisti e svolge nello stesso tempo un proficuo apostolato attorno alla casa religiosa. In seguito insegnerà anche lettere nel convento di Corella. Scriveranno: “Lo apprezzavano per la chiarezza delle sue spiegazioni. Ammiravano il rigore dei suoi argomenti. Si stupivano per la sua erudizione. Però Innocenzo brillava soprattutto per la delicatezza dei sentimenti. Era un uomo di cuore e questo rendeva più brillante la sua intelligenza”. Fino al 1922 è impegnato soprattutto nell’insegnamento. Da questo anno la sua attività principale sarà la predicazione. Nel 1923 nasce in Spagna una nuova provincia religiosa intitolata al Preziosissimo Sangue: Innocenzo viene incardinato ad essa, dopo aver esercitato il suo ministero nelle province del Sacro Cuore di Gesù e della Sacra Famiglia. Così, non senza un disegno di Dio, il martire lavora in tutte e tre le province religiose passioniste esistenti in terra spagnola. Nel 1924 è destinato alla fondazione di Ponferrada. Due anni dopo è a Mieres come insegnante e missionario.
Nel 1931 ancora un trasferimento con destinazione Santander dove trova un ambiente difficile. Segnali della imminente rivoluzione già si sono avuti e l’orizzonte è sempre più nero e minaccioso. Innocenzo esercita il suo apostolato tra gli operai; l’impegno non è senza rischi. Ma lui non si scoraggia; il suo lavoro è apprezzato. Una rivista spagnola scrive: “E’ doveroso dare rilievo al lavoro di intenso e fecondo apostolato che padre Innocenzo porta avanti in questo popoloso quartiere operaio. Lavora in un ambiente ostile, di concentrato e rabbioso settarismo. Come ricompensa per il suo lavoro pieno di sacrifici non gli manca nemmeno l’insulto. Ma le difficoltà non lo scoraggiano, e non lo spaventano nemmeno le villanie della gentaglia”. Un elogio di Innocenzo che, scritto prima del suo martirio, è ancora più credibile perché non suggerito dalla emozione di una morte violenta per mano di feroci assassini. Innocenzo non fa niente di particolarmente eclatante: vive però ogni giorno fedele alle linee tracciate dalla regola passionista. Si distingue per una grande devozione alla Madonna e solo dopo la sua morte si accorgeranno che per amore alla penitenza portava un cilicio con punte acuminate. E’ un religioso “molto caritatevole, paziente e comprensivo, sempre pronto a qualunque sacrificio quando si tratta di assistere gli infermi. Quando può rendere un servizio ai religiosi si prodiga al di là delle sue forze e della sua salute”. Nel mese di settembre del 1934, soltanto un mese prima del martirio, Innocenzo viene trasferito nella casa religiosa di Mieres al nord della Spagna, nella regione delle Asturie. Nella zona è conosciuto e stimato: a Mieres infatti ha già dimorato in precedenza ed ha lasciato un buon ricordo di sé. La sua nuova comunità comprende ventinove religiosi di cui diciassette sono giovanissimi studenti. La situazione politica è già tesa. Si vivono ore di preoccupazione e di incertezza. Può succedere di tutto da un momento all’altro. Nella notte c’è sempre qualche religioso che veglia per paura di un assalto al convento. Dalla strada si odono spesso minacce cariche di odio e insulti da far rabbrividire: “Frati, allontanatevi dal convento. Vi facciamo tagliare il collo. Perché studiate? Uscite e fuggite lontano per evitare il peggio. Questa volta non la scamperete”. La tensione aumenta e i minatori si sollevano contro il governo. La ribellione diventa dolorosa tragedia dal 5 al 18 ottobre 1934 quando 30mila minatori dominano e terrorizzano la regione prima che le forze dell’ordine possano riprendere il controllo della situazione e ristabilire una calma sia pure relativa. Il convento passionista di Mieres sarà messo a ferro e fuoco dai rivoltosi; i giovani studenti Alberto Andreés e Salvatore Tedejo sono uccisi; i religiosi sono costretti a cercare rifugio tra i boschi vicini o presso coraggiose famiglie amiche. I militanti cattolici, i preti ed i religiosi vengono indicati come pericolosi esponenti della destra clandestina che si oppone al regime social-comunista. Il 4 ottobre i sacerdoti passionisti escono per svolgere i soliti ministeri nei dintorni. Innocenzo viene mandato a Turón, un centro minerario. C’è da confessare religiosi ed alunni nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane in preparazione al primo venerdì del mese che ricorre il giorno seguente. Dopo alcune ore passate al confessio- nale, Innocenzo si prepara a tornare tra i suoi confratelli; gli suggeriscono però di non rischiare essendo ormai tardi; domani inoltre potrebbe confessare ancora un po’ e tenere una conferenza ai ragazzi. La mattina del 5 Innocenzo molto presto inizia la celebrazione della messa per i religiosi. Intanto si sparge la notizia che è scoppiata la rivoluzione. Durante l’offertorio arrivano i rivoluzionari che bussano alla porta della chiesa chiedendo le armi “dei fascisti e dell’Azione Cattolica”. Si abbrevia la celebrazione e Innocenzo distribuisce l’Eucaristia ai presenti. I rivoltosi perquisiscono la casa, arrestano Innocenzo e la comunità dei Fratelli delle Scuole Cristiane composta da otto religiosi. I nove sono portati alla cosiddetta “casa del popolo”, diretta da tre rivoluzionari e trasformata in carcere per la circostanza. Innocenzo viene privato dell’abito passionista e rivestito di abiti civili.
A loro vengono aggregati anche alcuni sacerdoti di Turón, quattro ingegneri delle miniere e alcuni esponenti della guardia civile. I rivoluzionari, uno di essi è stato alunno nel collegio, assicurano che non sarà fatto loro alcun male. I detenuti non si fidano minimamente: si accorgono che altri carcerati vengono portati fuori e fucilati. Sono consapevoli di quello che li attende e si preparano a morire. Con serenità e coraggio. Il primo giorno di prigionia i religiosi non mangiano niente. Poi un’anima compassionevole porta loro qualcosa. Preziose alcune testimonianze che verranno rilasciate in seguito. Dirà uno dei carcerieri: “Dormivano per terra. Non si sono mai lamentati. Passavano tutto il tempo pregando e molto raccolti. Erano straordinari, dei santi che non avevano fatto male a nessuno. Li uccisero solo perché erano religiosi”. La signora Palmira Serra, una signora che porta loro del cibo, non riuscirà mai a dimenticare quello che vede nella prigione. Ricorderà: “Li trovai sempre tranquilli, umili, rassegnati. Mi impres- sionava specialmente il padre Innocenzo. Quando gli si porgeva da mangiare, sembrava che stesse ricevendo la santa comunione. Era vestito molto poveramente come un operaio e quasi non sembrava un sacerdote”. Il giorno 7 ottobre Innocenzo si confessa da un sacerdote detenuto e poi ascolta ancora una volta la confessione dei religiosi delle Scuole Cristiane. “Terminate le confessioni, affermerà un testimone, manifestarono una gioia celestiale. Non temevano più la morte. Tutti erano rasseganti alla volontà di Dio ed erano certi che lui avrebbe avuto misericordia della loro anima se si fosse avverata la previsione di essere fucilati”. Un sacerdote che uscirà vivo dal carcere, ripensando a questi momenti tenebrosi e luminosi insieme, dirà che “la vigilia del martirio trascorse in continua conversazione sull’amore di Dio animandoci reciprocamente a patire per Cristo… convinti che saremmo stati uccisi per essere sacerdoti, religiosi, o semplicemente cattolici”. L’8 ottobre Innocenzo lo trascorre pregando e scrivendo; gli toglieranno tutto e quindi non si conosce il contenuto dei suoi preziosi appunti. Verso l’una di notte del 9 ottobre Innocenzo e gli otto Fratelli delle Scuole Cristiane vengono prelevati dai rivoluzionari e condotti via. Approfittano della complicità delle tenebre: il popolo semplice e buono infatti non avrebbe mai permesso l’uccisione dei maestri dei propri figli. Alcuni, tra cui il medico del luogo, hanno chiesto inutilmente la loro liberazione. Mentre abbandonano il carcere i sacerdoti che rimangono in prigione, li confortano ancora una volta con l’assoluzione: li vedono uscire, sicuri della loro sorte ed hanno una stretta al cuore. I religiosi vengono portati verso il cimitero. Il capo del drappello omicida scriverà: “Essi sapevano bene dove andavano e ci sono andati come pecore al macello tanto che io, pur essendo uomo duro, mi sono emozionato per il loro atteggiamento. Camminando e aspettando la morte pregavano a voce bassa”. Al cimitero è già stata scavata una fossa di nove metri di lunghezza e mezzo metro di larghezza. Il rivoluzionario Silverio Castañon che per i delitti commessi durante quel periodo collezionerà ben otto condanne a morte, ricorderà così gli ultimi momenti dei religiosi: “Erano molto raccolti, in preghiera; confessati da poco, erano pronti per il sacrificio. Fu chiesto loro se avessero qualche cosa da dire e risposero negativamente. Erano preparati e si poteva fare di loro quello che si voleva”. E difatti si fa di loro quello che si vuole. Condannati senza processo, condannati senza tribunale. La colpa? Essere religiosi, aver fatto del bene al popolo, avere insegnato il perdono e l’amore. “Sarebbero stati i migliori maestri del mondo, se non avessero insegnato il catechismo”, è il commento di uno degli aguzzini. I religiosi sono allineati vicino alla fossa e barbaramente fucilati. A quelli che non muoiono immediatamente viene trapassato il cranio con un colpo di pistola o fracassata la testa con una spranga di ferro ad opera dello stesso Silverio e da un suo compagno non meno crudele di lui. I corpi dei martiri non restano a lungo nella fossa scavata dall’odio e dal terrore. I Fratelli delle Scuole Cristiane (Cirillo, Marciano, Vittoriano, Beniamino, Augusto, Benito, Giuliano, Aniceto), sono trasferiti nella loro casa a Bujedo (Burgos). Innocenzo, invece, a Mieres e viene sepolto nel cimitero vicino ai suoi confratelli. Il papa Giovanni Paolo II li dichiara beati il 29 aprile 1990 e santi il 21 novembre 1999. E la chiesa passionista di Mieres dove Innocenzo durante la vita ha pregato, celebrato l’Eucaristia e amministrato i sacramenti diventa il suo santuario.