Lorenzo Salvi
Lorenzo vive ed opera all’epoca della rivoluzione francese conoscendone errori ed orrori; è testimone di un’epoca di transizione percorsa e ferita da fermenti che segnano l’intera Europa. Nasce a Roma il 30 ottobre 1782 da Antonio e Marianna Biondi. Vede la luce nel palazzo dei conti di Carpegna; Antonio infatti è l’amministratore di questa nobile famiglia, una delle più illustri ed antiche d’Italia. Lorenzo rimasto orfano della mamma ad appena un mese, è portato a Frascati (Roma) da una nutrice. Il babbo si sposa nuovamente e il viaggio di nozze consiste nell’andare a riprendersi il piccolo. In casa Salvi nasceranno altri cinque figli, ma Lorenzo mai si sentirà amato meno degli altri. Solo alla vigilia del sacerdozio la matrigna gli dirà che la sua vera mamma è volata al cielo da ventitré anni: la ricordi nella celebrazione della prima messa. Lorenzo in casa riceve una educazione cristiana basata sull’amore verso Dio e verso il prossimo. Conduce una vita ordinaria, ma irreprensibile tanto che lo chiamano “il piccolo santo”. Con risultati più che soddisfacenti attende agli studi sia in casa guidato da precettori, sia frequentando il vicino collegio romano. Ha come compagno di scuola san Gaspare del Bufalo, fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue. E’ amico e discepolo del sacerdote camaldolese Mauro Cappellari che abita anche lui, per qualche tempo, nel palazzo Carpegna e che non disdegna di impartire lezioni ai figli di Antonio. Il religioso sarà papa con il nome di Gregorio XVI. Lorenzo lo tratterà sempre familiarmente. Lo chiamerà “nostro affezionatissimo sommo pontefice” e parlerà della “bontà che ha sempre avuto per la nostra famiglia”. Gregorio XVI nominerà Gaspare, fratello di Lorenzo, architetto dei palazzi apostolici. A dieci anni Lorenzo riceve la cresima nella basilica vaticana dal cardinale Enrico duca di York, vescovo di Frascati. A diciotto decide di incamminarsi verso la vita sacerdotale e religiosa. E sceglie i Passionisti. Il padre, pur religiosissimo, tenta di trattenerlo. “Aspetta un anno, e poi partirai”, suggerisce augurandosi che tutto sia un fuoco di paglia. “Ma per un anno, aggiunge, non mi parlare assolutamente né di preti, né di frati, né di monache”. Lorenzo segna diligentemente la data e riprende la solita vita. Scaduto l’anno si ripresenta puntuale al padre con una richiesta che non ammette discussioni e ulteriori dilazioni. “Io ho fatto la tua volontà, ora tu mantieni le promesse”. Il signor Antonio vede sfumare le sue speranze e non può non stare ai patti. E Lorenzo parte. E’ un giovane di diciannove anni. Come mai abbia scelto i Passionisti non si sa. Con ogni probabilità li ha conosciuti attraverso Vincenzo Strambi noto a Roma per il suo prestigio e per la sua oratoria. Infatti proprio vicino al palazzo Carpegna, Vincenzo predica più volte con straordinario concorso di popolo. Tra gli ascoltatori vi sarà stato certamente anche Lorenzo, giovane pio ed impegnato. Nel 1827 Lorenzo, su richiesta del superiore generale, scriverà un profilo di Vincenzo Strambi. Lorenzo trascorre l’anno di noviziato nella severa e tranquilla solitudine del Monte Argentario (Grosseto); emette la professione religiosa il 20 novembre 1802. Prosegue gli studi a Roma dove è ordinato sacerdote il 29 dicembre 1805. La soppressione degli ordini religiosi decretata da Napoleone nel 1810, lo costringe a vivere fuori convento. Rifiuta il giuramento di fedeltà all’imperatore per cui è privato della pensione prevista per gli ex-religiosi. Povero e sereno, fermo e gioviale continua ad esercitare il ministero sacerdotale in una chiesa di Roma. Appena sa che a Pievetorina (Macerata) nelle Marche è possibile vivere in una piccola comunità passionista, vi si reca immediatamente. Vi starà dal 1811 al 1814, circondato dalla stima, dalla simpatia e dall’affetto degli abitanti che gli affidano l’educazione e l’istruzione dei propri figli. “Sto bene, contento e ben voluto contro ogni mio merito”, scrive Lorenzo il 9 settembre 1811. Cessate le leggi di soppressione torna in convento dove riprende con gioia la vita sognata da sempre. Viene eletto superiore delle case religiose di Terracina (Latina), Monte Argentario, Todi (Perugia), Sant’Angelo di Vetralla (Viterbo). Nel 1829 è nominato superiore della casa generalizia dei Santi Giovanni e Paolo a Roma in un momento molto delicato. E’ chiamato infatti a sostituire il superiore in carica che per divergenze con il generale insieme ad una diecina di religiosi turbolenti lascia la congregazione. Lorenzo viene confermato nell’incarico anche nel 1832 quando avrà come vicesuperiore il beato Domenico Barberi. Questi due santi religiosi riportano la pace nella comunità e il buon nome dei Passionisti nella capitale. Nel 1848 è nuovamente eletto superiore della casa generalizia: Lorenzo ha sessantasei anni e Roma vive tempi cupi a causa della situazione politica. Per vari anni ricopre anche l’ufficio di consigliere provinciale. Nel suo governo è comprensivo, ma anche esigente per quanto riguarda la fedeltà agli impegni comunitari. Precede tutti con l’esempio di amore alla preghiera e alla vita contemplativa tipica della congregazione. Non manca di umorismo di cui si trovano abbondanti tracce nel suo atteggiamento e nei suoi scritti. “Io seguito a passarmela in mediocre sanità, scrive al fratello nel 1847, ma ripeterò anche adesso quello che sono andato più volte dicendo: finché c’è polvere si spara”. A chi gli chiede qualche guarigione miracolosa, risponde: “Che volete che vi faccia io… se siete storpi in un piede, vi storpiate pure dell’altro”. Raccontando al fratello un incidente avuto mentre si reca a Perugia, dice: “Fu un prodigio che non ribaltasse il legnetto, il che se accadeva sarei rimasto una pizzetta per il santo bambino. Ma siccome gli sarebbe stata indigesta, tolto lo spavento in me non fu altro. Deo Gratias”. Ama la musica e la liturgia ben condotta. Nel Natale del 1852 è invitato a Sant’Eutizio per accompagnare con il suono le sacre funzioni. Proprio lui che ormai ha settanta anni. Scriverà invece un testimone: “Rimanemmo trasecolati nel notare la sua elevazione di spirito, il meraviglioso e brioso suono dell’organo che eseguiva in modo mirabile in tale solennità”. Il 9 giugno 1856 è inviato dai superiori a Capranica (Viterbo) per visitare alcuni infermi che desiderano una sua benedizione. Pur sentendo che le forze vengono meno, obbedisce, come sempre. Prima di partire dice che non sarebbe tornato; ai benefattori che lo accolgono festosi profeticamente confida: “Starò qui solo tre giorni”. Accoglie i visitatori, confessa i penitenti, benedice i malati, conforta i sofferenti. Il 12 giugno, poco prima delle ore venti, muore per un colpo apoplettico. “Abbiamo perduto il nostro santo”, dice la gente commossa mentre fa incetta di reliquie. Prima che Lorenzo sia riportato in convento, vogliono che il suo corpo venga condotto in processione per tutto il paese; le guardie a stento riescono a difenderlo dall’eccessiva devozione. Solo verso le ore ventuno del 13 giugno il corteo può avviarsi verso il convento passionista di Vetralla. Il primo ottobre 1989, Lorenzo viene dichiarato beato da Giovanni Paolo II. Lorenzo non sa cosa sia l’ozio. Lo chiamano “il moto perpetuo”. E’ sempre occupato: diciannove anni è superiore, sei vicario, quattordici consultore provinciale. Ma non è errato dire che consuma la vita nella predicazione, nello scrivere libri, nel guidare la riforma di alcuni monasteri, nella direzione spirituale. Ha il dono della profezia e delle estasi. Tutti vedono in lui un autentico santo e molti lo ricercano come guida per la sua pietà, il suo zelo instancabile, la sua prudenza. Almeno duecentosessanta i corsi di missioni ed esercizi spirituali da lui guidati. Nel triennio 1845-1848 predica addirittura trentasei missioni che lo costringono a stare lontano dal convento per oltre sette mesi consecutivi. Sono infatti moltissimi coloro che richiedono con insistenza il suo ministero sacerdotale. Lorenzo predica ad ogni ceto di persone, dalle monache di clausura ai carcerati, con frutti abbondanti. La sua parola è efficace perché accompagnata dall’esempio di una vita santa e da molti fatti prodigiosi. Un gruppo di esercitanti ai Santi Giovanni e Paolo è talmente scosso e preso da fervore ascoltando le sue prediche, che per spirito di penitenza si mette a dormire sul nudo pavimento. E siamo in pieno inverno. Deve intervenire lo stesso Lorenzo per frenare l’eccessivo fervore e tutelare la loro salute. Lorenzo viene richiesto dal beato Domenico Barberi per le fondazioni in Belgio e in Inghilterra. Monsignor Giuseppe Molajoni, passionista, vescovo di Nicopoli, lo vuole per la missione in Bulgaria. Il superiore generale però non concede mai il suo benestare. Lorenzo sarebbe disposto a partire anche subito per tutte le destinazioni; ma accetta con docilità la decisione: eserciterà un intenso apostolato in Italia predicando per circa quaranta anni in Toscana, nel Lazio, in Abruzzo e nelle Marche. La sua caratteristica è la tenera devozione a Gesù bambino che a Pievetorina nel 1812 gli era apparso e lo aveva guarito da una grave malattia. Quando in seguito Lorenzo racconterà il fatto, parlando sempre in terza persona, si scioglierà in pianto e non riuscirà a proseguire il discorso. Da quel momento il mistero di Betlem “il più dolce, il più soave dei misteri”, diventa l’anima non solo della sua ascesi e mistica personale, ma anche del suo apostolato e dei suoi scritti. A propagarne la devozione vi si impegna con un voto particolare. Con l’immagine di Gesù bambino, che lui chiama affettuosamente “il mio dolce imperatorino” e con la preghiera a lui rivolta, opera non pochi miracoli di cui resta una dettagliata e circostanziata descrizione. A chi gli chiede preghiere, raccomanda di accendere un cero davanti a Gesù bambino e di rivolgersi a lui con fiducia. Lo stesso consiglio dà ai malati ai quali a volte ordina addirittura di lasciare le medicine. Li benedice con l’immagine di Gesù bambino che porta sempre con sé e spesso avviene l’atteso miracolo. Gli altri si meravigliano, per lui è cosa naturale. Nel 1855 su insistente invito del cardinale Gaspare Bernardo Pianetti, vescovo di Viterbo, celebra un solenne triduo di preghiere a Gesù bambino ed ottiene la cessazione dell’epidemia di colera che infuria in quella città e che ha già mietuto quasi trecento vittime tra la popolazione. Dopo il triduo non ci saranno più morti. Lo battezzano “il missionario di Gesù bambino”. Betlem, a suo dire “la prima pubblica scuola di tutte le virtù”, diventa la casa dove lui sosta in estatica contemplazione con la trasparenza di un bambino. Qui assimila la lezione di un candore senza fronzoli. Lorenzo è un uomo pratico, attivo, concreto; deve guidare le comunità religiose come superiore. Ma questo non gli impedisce di risplendere per quella semplicità evangelica non disgiunta dalla prudenza altrettanto evangelica. “Aveva, scriveranno, un cuore umile e dolce che lo inclinava a parlare, a pensare, ad agire sempre con infantile semplicità spirituale”. Vicino al bambino di Betlem, diventa anche lui bambino, nel senso migliore del termine. Libero da paralizzanti incrostazioni, vive in perenne stupore. Alla semplicità, all’abbandono fiducioso in Dio guida le anime da lui dirette siano esse suore, sacerdoti, o laici. Non tradisce la sua vocazione passionista: nel bambino di Betlem adora il mistero dell’amore di Dio, vede chiaramente Gesù servo obbediente e redentore crocifisso. Lorenzo vive ed insegna la beatitudine dei “piccoli” ai quali il Signore si compiace di rivelare “i misteri del regno dei cieli”. La “piccola via” che in seguito sarà percorsa anche da santa Teresa di Lisieux, è la risposta di Lorenzo alle sfide culturali e sociali del suo tempo che propone altre categorie e altri parametri. Il “mio sopraddolcissimo bambinello”, avverte Lorenzo, sconvolge i sapienti e grandiosi progetti umani destinati a frantumarsi se non poggiano sulla fragilità del “caro Dio pargoletto”. Nei suoi scritti, con un linguaggio caldo e accattivante, semplice e spontaneo, Lorenzo “grida” la sua profezia. Egli spiega in modo chiaro e particolareggiato anche come adoperare la cera per costruire statuine di Gesù bambino. Ma la descrizione non è tecnica fredda e morta: attraverso immagini e gesti Lorenzo propone un suggestivo itinerario spirituale per avvicinarsi al Dio-bambino. Non senza emozione ancora oggi si possono ammirare e accarezzare alcuni “Gesù bambino” in cera modellati da lui. Fonda anche l’associazione chiamata il “Drappello della Sacra Culla” e ne pubblica il regolamento per gli iscritti. Interessanti le opere da lui scritte. Compone il “Diario necrologico dei Passionisti e monache passioniste vissuti fino al 1848”, espressione del suo amore alla famiglia passionista. L’opera è utile per tenere viva la memoria delle consorelle e dei confratelli defunti e aiuta a non dimenticare le proprie radici. Il primo libro dato alle stampe è: “Invito a tutti i fedeli del mondo cattolico con alcuni esercizi divoti in onore della santa infanzia di Gesù Cristo”, stampato ad Assisi nel 1825. Nel 1832 pubblica la sua opera principale: “L’anima innamorata di Gesù bambino” in quattro volumetti, stampata come la precedente ad Assisi. Contiene riflessioni e preghiere per ogni giorno dell’anno su una virtù che risplende nel bambino Gesù. Lo stesso Lorenzo ne curerà un compendio in un unico volume di quasi trecento pagine che avrà sei edizioni. Ne “L’anima, mistica nutrice di Gesù Bambino, ossia l’anima occupata con Gesù bambino in tutto il corso dell’anno”, esorta il cristiano ad essere luogo dell’incarnazione e della crescita di Dio. In queste, come in altre opere, l’argomento è sempre lo stesso: contemplare con fede e gratitudine Gesù bambino, abbandono della propria autosufficienza, coltivare una filiale fiducia nella paternità di Dio, vivere con serena mitezza i propri giorni, avere una sorridente apertura al dono del Signore. Nato quando l’Illuminismo aveva già offuscato ed ubriacato molte menti con la sua perversa dottrina, Lorenzo parla di un Dio che per amore si veste di umanità. Di un Dio che, diventato bambino, invita tutti a camminare in semplicità di cuore.