miracoli

Da Roma ai confini della terra

Nei due anni che l’Apostolo trascorre a Roma, l’attività della predicazione non conosce sosta. Egli continua ad annunciare “con franchezza e senza impedimento” la salvezza di Dio, consegnando alla Chiesa uno dei più sublimi esempi di come s’incarna e si testimonia il Vangelo

Prigioniero verso Roma

L’ultima tappa del racconto degli Atti degli Apostoli è rappresentata dal viaggio di Paolo prigioniero a Roma. Mentre l’apostolo è a Cesarea in stato di “custodia militare con una certa libertà” (At 24,23), il nuovo procuratore romano Porcio Festo decide di inviarlo a Roma, poiché Paolo si era appellato al giudizio imperiale (cf. 25,10-12). Dopo la splendida testimonianza resa al cospetto del re Agrippa e della moglie Berenice (26,2.23), Paolo viene imbarcato alla volta dell’Italia insieme ad altri prigionieri (At 27,1). La navigazione verso la capitale dell’impero si svolge tra il 58 e il 61 d.C. Luca descrive minutamente la rotta seguita: salpati da Cesarea e passando per Sidone e Cipro, Paolo e i suoi accompagnatori raggiungono Mira in Licia; qui, con un’altra nave, costeggiamo la Licia fino all’altezza di Cidno e da qui puntano a sud ovest verso l’isola di Creta, raggiungendo la località denominata Buoni Porti (27,1-8). Nonostante la pericolosità della navigazione per l’avanzata stagione autunnale, contro il parere dell’Apostolo, il comandante decide di fare vela verso l’Italia, prevedendo una tappa a Creta (27,9-12). La nave viene investita da una violenta tempesta (il vento denominato Euroaquilone) e avviene il naufragio.

La fede nelle avversità

Il racconto di At 27,13-44 descrive la drammaticità esperienza del naufragio. L’improvviso uragano devasta l’imbarcazione e i naviganti vanno alla deriva, sommersi dalle onde. Nei cataloghi delle avversità Paolo ha citato la sua passata esperienza di naufragio. Scrivendo ai Corinzi Paolo ricorda: “Tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde” (2Cor 11,25-26). Il motivo del naufragio richiama il dramma della morte, dell’abisso, della deriva e della dissoluzione. Diverse volte nel Salterio l’orante si sente abbandonato da Dio e circondato dalle onde di morte (cf. Sal 38,5; 60,3; 68,3). Vivere il naufragio significa toccare il fondo dell’esistenza (cf. Gio 2,3-10). È la fede che aiuta ad affrontare le avversità della vita. Nella situazione di estrema precarietà Paolo dà la sua testimonianza di coraggio e di sostegno: «Vi invito a farvi coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite umane in mezzo a voi, ma solo della nave. Mi si è presentato infatti questa notte un angelo di quel Dio al quale io appartengo e che servo, e mi ha detto: “Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco, Dio ha voluto conservarti tutti i tuoi compagni di navigazione”. Perciò, uomini, non perdetevi di coraggio; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato detto. Dovremo però andare a finire su qualche isola» (At 27,22-26). All’esortazione si collega anche la benedizione di Paolo e il segno del ringraziamento per il pane spezzato e condiviso (27,35-36). La narrazione continua, mostrando la nave che finisce con la prua incagliata e la poppa viene sconquassata fino a rompersi. Con le tavole della nave o a nuoto tutti i superstiti si dirigono verso la spiaggia. Così tutti si salvano sulla spiaggia maltese.

Superare le prove

La breve sosta nell’isola di Malta è descritta nell’ottica dell’annuncio di salvezza. I maltesi ospitano i superstiti con grande umanità. L’episodio di una vipera che morde l’Apostolo e questi rimane in vita stupisce gli abitanti della zona che considerano Paolo come un dio, capace di superare i morsi dei serpenti (28,5-6). Anche il governatore dell’isola accoglie Paolo assieme agli altri e permette di sopravvivere nei mesi invernali, in attesa di una nuova nave. Nel frattempo Publio, amministratore di Malta, è ammalato e soffre. Paolo va da lui, gli impone le mani e lo guarisce. Allo stesso modo Paolo compie guarigioni tra la gente del posto (28,7-10). La gente rimane stupefatta per questi prodigi. L’Apostolo rimane nell’isola maltese tre mesi, per poi imbarcarsi su una nave di Alessandria, recante l’insegna dei Dioscuri. Dopo una sosta di tre giorni a Siracusa, la nave costeggia Reggio ed infine approda a Pozzuoli (28,11-15). Da qui Paolo parte alla volta di Roma, mentre alcuni fratelli della comunità romana gli vengono incontro fino al Foro Appio e alle Tre Taverne. Raggiunta l’Urbe, viene concesso all’apostolo di abitare in una casa privata, con un soldato di guardia (28,16). Si concretizza così la rivelazione che l’apostolo ha ricevuto nel corso della sua missione, mentre era prigioniero a Cesarea: “È necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma” (23,11).

La Parola con franchezza

L’epilogo degli Atti deli Apostoli non corrisponde alla fine del ministero paolino, ma attesta la centralità della Parola di Dio nella missione dell’apostolo. Stando agli arresti domiciliari, Paolo vuole incontrare in un primo tempo i notabili giudei della comunità romana per aprire con loro un confronto e chiarire la sua situazione di prigionia (28,17-22). A Roma l’Apostolo spiega il senso del regno di Dio e cerca di convincere i giudei su Gesù “partendo dalla Legge e dai Profeti” (28,23). Sappiamo dall’epistolario che le origini della comunità romana precedono la venuta di Paolo. La comunità era nata verso la fine degli anni 40 d. C., mentre Paolo si reca a Roma agli inizi degli anni 60. Nondimeno dal racconto degli Atti si evince che i Giudei non conoscessero i cristiani locali. Per questo la predicazione di Paolo trova consenso ma anche forti resistenze. L’intento teologico di Luca è di mostrare come il “cammino della Parola” procede anche in mezzo a contrarietà. Diversi giudei erano in disaccordo con la fede cristiana e a loro Paolo si rivolge con un ammonimento, invitandoli a non ripetere l’atteggiamento del cuore indurito del popolo di Israele (28, 25-29; cf. Is 6,9-10). Nei due anni che l’Apostolo trascorre a Roma, l’attività della predicazione non conosce sosta. Egli continua ad annunciare “con franchezza e senza impedimento” la salvezza di Dio, consegnando alla Chiesa uno dei più sublimi esempi di come s’incarna e si testimonia il Vangelo (cf. 2Tm 4,1-2).