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Eutanasia attiva o passiva?

Il dibattito etico e giuridico sull’eutanasia è un argomento fra i più complessi della bioetica. Infatti la questione della sofferenza derivante da malattie non più guaribili, nonostante i notevoli progressi biomedici, interroga non solo specialisti, ma anche l’opinione pubblica. È più grave l’eutanasia passiva o quella attiva? (Marco G. Ancona)

“Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, a livello delle intenzioni e dei metodi usati» EV 65. La malizia morale sta nella volontà diretta di sopprimere una vita innocente e non nella concreta modalità di esecuzione, attiva o passiva che dal punto di vista etico è del tutto irrilevante. Un altro atteggiamento da evitare è il cosiddetto accanimento terapeutico che significa “certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sono sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia” (EV, 65).

Il cristiano non evita le sfide più profonde dell’esistenza umana eliminando la persona stessa, bensì seguendo Cristo, medico dell’anima e del corpo, combatte il male in tutte le sue forme e accetta con fede sperante la morte ineluttabile. Evitando le due forme di violenza, l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, egli applica le cosiddette terapie palliative che mirano a lenire i sintomi andando incontro a tutte le necessità del malato di natura sia fisica che spirituale. Quest’ultima testimonianza non solo diminuisce la richiesta per un’eventuale eutanasia, ma sortisce anche un effetto pacificatore nella società costruendo fiducia e tessendo relazioni forti. Così facendo la disperazione man mano cede il passo all’atteggiamento di dare un senso compiuto alla vita sia propria che a quella altrui.